Nella mia vita ho avuto la fortuna e la possibilità di poter conoscere delle donne molto forti che mi hanno trasmesso volontariamente o involontariamente forza e coraggio. La forza e il coraggio di essere donna, qualsiasi cosa accada, qualsiasi vita accada, la forza di Agnese Borsellino.
Ricordo l’incotro in quella casa di Roma, immersa dai gelsomini, in pieno maggio. Ancora avevo solo 18 anni, un quasi diploma di maturità, e fu lì che incontrai Topazia Alliata, una donna speciale che ha lasciato senza alcun dubbio una profonda impronta nella mia vita.
Ma oggi scrivo di un’altra donna, una donna che molti conoscono perchè moglie di Paolo Borsellino ma che pochi forse hanno avuto modo di approfondire la sua figura. Una donna siciliana, di Palermo, dal cuore carico di valori, emozioni, sensazioni e amore per la sua terra. Ha lasciato un’eredità non solo ai suoi figli e nipoti ma a tutti i cittadini di quest’Italia così difficile e che ad oggi si domanda a cosa sono valsi i sacrifici. Ma Agnese parla del suo impegno contro la mafia attraverso una parola: Amore.
Un amore puro, un amore che mai come in questo momento storico dove tutto ha una data di scadenza, ha bisogno di essere raccontato. Quest’amore che ha permesso a una giovane coppia di Palermo di poter vincere tutto, anche la morte.
Agnese nel libro che racconta la parte finale della sua terza vita, quella dopo la morte di Paolo Borsellino il 19 luglio del 1992 in via D’Amelio è il racconto di una storia d’amore bellissima. Racconta la vita di due persone semplici ma piene di valori, quei valori che hanno trasmesso ai figli, ai nipoti.
Quei valori che non potrebbero esistere senza il coraggio. E senza la forza di questa donna che è stata accanto senza eccessi, senza drammi, senza fronzoli, vicino ad uno degli eroi della battaglia contro la mafia.
Una donna contro la mafia che traduco anzi contro il male. Lei racconta tantissimi aneddoti come quello del suo matrimonio dove scrive di essersi presentata al matrimonio con un abito semplice ma che poi al ultimo minuto lo aveva arricchito con un diadema ornato da piume di pavone (e ancora Carry non era esistita) immaginando la faccia e le battute del futuro sposo vedendola così conciata.
Un amore tanto grande quando semplice fatto di sveglie molto presto, di trasferimenti, di rinunce a tutto quello che era la vita prima della guerra di mafia. Agnese racconta del ultima festa alla quale lei e la sua famiglia hanno partecipato insieme e con spensieratezza proprio alla vigilia della morte di Rocco Quinnici, il magistrato che ha creato il pool antimafia, che mai e in nessuna maniera è stato soffocato o messo in crisi dalla lotta contro la mafia.
Per Paolo Borsellino, racconta Agnese, nessun uomo anche il peggiore mafioso era privo di anima. Da qualche parte doveva esserci una forma d’amore per qualcuno o qualcosa. E lei racconta nutriva questa speranza anche quando sapeva di essere stato condannato a morte. Nel libro non c’è alcuna forma o sensazione di rabbia o di odio o di vendetta. Agnese parla alle generazioni che le scrivevano su Facebook e Twitter come una testimone d’amore.
Un amore fatto di coraggio e di umiltà.
Ed è di amori così che il nosto mondo ha bisogno. Amori che non si scoraggiano di fronte ai sacrifici, amori che sanno viaggiare anche se fermi nello stesso luogo, amori che sanno affrontare le cose belle e nello stesso modo quelle meno.
Amori che non si perdono d’animo e che si scambiano ogni giorno una parola bella.
Un sorriso, un complimento, uno scherzo. Abbiamo bisogno di amore, oggi più che mai, per ogni aspetto di questa società. Perchè la speranza è anche nell’anima più buia.