Ogni volta che chiudo la porta a qualcuno. Ogni volta che dico no. Ecco dentro di me si innesca un insensato senso di colpa, come se dire qualche volta no mi facesse perdere una possibilità, una persona, un rapporto, un legame.
Ed piuttosto che sentire questo senso di colpa acconsento, dico sì anche se dentro di me è un no netto, definito.
Parlo della cosa più banale a quella meno. Dal farmi lavare il vetro la mattina alla richiesta di un amico o un amico. Troppo buona?
No, non credo. Non è questo un fattore che implica l’essere buoni o meno. Anzi. Molti possono pensare che lo faccio per benevolenza. Ma di chi? Se non di me stessa. Volermi bene o non volermi bene, passa da questo? Passa dal non sentirmi in colpa per un no? Per un ‘mio non esserci’. Ma quante volte gli altri mi hanno detto no?
Tante. Infinite. Si sono fatti scrupoli? No, ma non è una colpa. Siamo solo diversi. Tanto diversi. Ogni centimetro della mia pelle è diverso dalla tua, anche se è sempre pelle ovvero quel: “Rivestimento esterno del corpo dell’uomo o degli animali, corrispondente all’epidermide, lo strato più esterno del tegumento; con riferimento a quella dell’uomo, spec. a proposito dell’aspetto. “
Ma siamo diversi. Infinitamente diversi. E quindi tutto passa dall’imparare qualcosa, dai processi di apprendimento.
Chissà magari qualche mio ‘no’ in più avrebbe cambiato il corso di alcune cose della mia vita. O forse no?
A volte mi chiedo come è potuto succedere che a quella determinata situazione non si sia stati capaci di saperla gestire. Fare in modo che si potesse superare. La risposta è sempre la stessa. Imparare a chiudere qualcosa, imparare a dire no. Quando sarà giusto. Ma soprattutto provarci senza avere paura delle conseguenze.
Come buttarsi con il paracadute, senza pensare a cosa può succedere dopo. Il dopo dovrebbe essere sempre una scoperta e non solo una paura.
Io ci provo, e tu, quando e come hai detto no?
E ti è pesato?