Un brivido. Proprio quello che ho provato quel giorno quando sul telefono mi è arrivato un video. Un video non richiesto, un video non voluto. Un video condiviso e condiviso da molti utenti è che ha raggiunto anche il mio telefono.
Questo terribile video raccontava una storia che non doveva essere ripresa. Non doveva circolare ma doveva rimanere racchiusa in un dolore sacrosanto, intimo e privato, e che non va condiviso con estranei che invece lo hanno trasformato in un feticcio.
Sulle prime ho pensato fosse uno scherzo. Poi ho realizzato che non lo era affatto. O forse nella testa di chi lo ha girato, consapevole o non consapevole, di quello che stava facendo. Ed è questo un punto, importante e fondamentale, che dovrebbe far fermare un attimo tutti e chiedersi:
E’ giusto che qualcuno si arricchisca, perché di questo parliamo, grazie a queste condivisioni? E giusto che questi video arrivino a tutti senza un controllo preventivo, senza un algoritmo che ti dice ‘questo non lo puoi inviare’.
Davvero dobbiamo farci regolare la vita da algoritmi?
La gente dovrebbe saperlo da sola ma tant’è che non sono pochi i suicidi online o per gioco e Tik Tok, il gigante competitor di Facebook, questo lo sa molto bene.
In fondo -ma nemmeno tanto in fondo- i comunicatori e gli specialisti di tutto il mondo questo lo sanno. Veicolare un video con contenuti violenti o sessuali paga di più in termini di visualizzazioni e condivisioni.
E i terroristi, talebani o no, lo hanno capito dato che pianificano e programmano la campagna di ‘comunicazione’ su immagini che raccontano decapitazioni e esecuzioni dei loro nemici. Raccontano cosa sono capaci di fare, vogliono fare arrivare il terrore anche a te che sei distante centinaia di migliaia di chilometri.
E con l’11 settembre ci sono riusciti. Anche senza social.
Pensiamo per un attimo se i nazisti avessero avuto anche i canali social. Probabilmente non saremmo qui a domandarcelo.
I social sono strumenti di comunicazione che veicolano messaggi. Non sono nè buoni e nè cattivi. Un oggetto come può essere buono e cattivo. Pensa ad un’arma. Può essere buona o cattiva? Dipende dall’uso che se ne fa. La stessa cosa vale per i social network i quali, come i mezzi old style, tv e telefono, veicolano messaggi all’infinito. Annientano le distanze, colmano i vuoti analogici.
Come tutti sappiamo sono verbali, orali e scritti, video, fotografici e non hanno limiti. Imprevedibili, smaterializzabili (le stories instagram si auto cellano dopo 24 ore).
Una potenza di comunicazione che ha investito il mondo in una maniera preponderante, potente, veloce. Mondo che non era preparato a ciò. Che non si è preoccupato “Sono solo dei giochi’, che non si è protetto, che non ha avuto il tempo per educarsi ed educare.
E’ inaccettabile però che dopo il caso di Tiziana Cantone, vittima di reverge porn (oggi reato punibile da uno a sei anni e con una multa dai 5000 ai 15000mila euro, secondo il comma 1 dell’articolo 612-ter, all’interno del Codice Rosso), attraverso questi canali si diffondano ancora contenuti violenti che possono essere usati come un’arma dalle conseguenze inimmaginabili. Instagram, per esempio, canale social di proprietà di Mark Zuckemberg, blocca contenuti ritenuti offensivi, arrivando anche e eliminare gli account per delle fotografie che in realtà non hanno questi contenuti e invece permette dirette online ‘porno’ nel vero senso della parola. Oppure permette a certi personaggi del tutto discutibili di avere dei canali social e parlare attraverso loro. Parlo appunto anche di terroristi, ma anche organizzazioni politiche.
Questa è senza dubbio la doppia faccia dei social network. Bisogna capire una cosa, a riguardo. I social attraverso lo smartphone hanno realizzato una metamorfosi.
Qualcosa di digitale che in un qualche modo è diventato ‘fisiologico’ come se fosse una parte ‘digitale’ dell’essere umano che, lo stesso, la utilizza per i suoi scopi, obiettivi, per tutto quello che gli pare. Senza alcun filtro, nonostante i filtri usati nelle foto e video.
Cosa intendo dire quando scrivo ‘Senza filtro’?
E’ meraviglioso avere un canale ed un pubblico che ti segue, ti cerca, ti scrive, ti condivide qualcosa. Puoi costruire relazioni basate su un tacito accordo che si dà per scontato la veridicità di quello che si dice, senza alcun filtro. Senza nessun che possa smentire davvero quello che si dice. Sia che si venda un prodotto che un’idea.
E cosa è più pericoloso e potente se non la condivisione di un’idea?
Un politico che parla attraverso l’uso dei social non ha spesso un contraddittorio. Certo si può sempre rispondere da un altro account o smentire ciò che viene detto ma rimane sempre un canale proprio. Come se fosse una televisione privata.
Il fatto è che il libro bianco della comunicazione deve essere riscritto. Che le regole non devono essere dibattute in programmi televisivi ma devono essere discusse in Parlamento. Proteggersi significa proteggere e tutelare gli interessi e i valori dei cittadini e non delle multinazionali che guadagnano sulle emozioni di tutti. E’ questo bisogna farlo capire e trasmetterlo. Condividerlo nella maniera opportuna. Un buco normativo è quello che manca. Oggi alcuni specialisti dibattevano su inserire dei divieti agli adolescenti sull’uso degli smartphone. Il divieto non educa. Il divieto spinge invece a ‘rendere il peggio’. Ci sono tantissimi adolescenti che hanno saputo usare i social per la costruzione di messaggi innovativi e sono bravi. Perché non educare grandi e piccoli all’uso dei social e dunque della parola?