Nella Bibbia, testo sacro del Ebraismo prima e Cattolicesimo poi, c’è una storia che è la storia dell’umanità intera: l’omicidio di Abele da parte di Caino. Un omicidio da vigliacchi, come lo descriverebbero i drammaturghi greci, che mai hanno perdonato a Paride l’uccisione di Achille avvenuta alle spalle. Ed è la stessa storia, che si ripete, da sempre. Quella di chi, di spalle, quando sei indifeso, quando non puoi proteggerti viene colpito a morte. E avviene quotidianamente. Si parla tre femminicidi a settimana, in Italia.
Un amico che uccide un altro amico. Un marito che uccide una moglie. Un fratello la sorella e via dicendo. Molto spesso senza alcuna motivazione e in stato di coscienza totale.
Chi rimane lotta per avere giustizia. E lo fa usando tutti i mezzi con una forza che definire umana è un eufemismo. E’ forza che non si sa come e da dove fuoriesce.
Qualche giorno fa la Leosini ha mandato in onda una lunga intervista a Ciontoli, un caso mediatico quello dell’omicidio di cui due corti di Giustizia hanno già dato sentenza di colpevolezza. Un omicidio senza alcun senso questo.
E forse per questo motivo la famiglia Vannini, la madre e il padre, gridano ancora più forte.
Molti si sono scagliati contro la giornalista che ha dato parola ad un assassino. Ma il ruolo del giornalista è raccontare i fatti che coinvolgono l’opinione pubblica. Anche quando l’intervistato è Caino.
E da questa intervista che ho seguito con assoluto interesse e invidia per la ferma lucidità della giornalista, per non fasi coinvolgere dalle emozioni delle parti, che mi sono imbattuta in tante storie. Tantissime ‘altre’ storie.
C’è quella di Giuseppe Parretta, 18 anni, ucciso da un pregiudicato perché figlio di Katia Virillo, una donna che da dieci anni, con la sua associazione, lotta a Crotone per le donne schiave di droga e prostituzione. Un pregiudicato tornato in libertà ha immediatamente perseguitato Katia Virillo e la sua associazione, e i suoi figli. Una malata convinzione, la sua, quella di essere da questo nucleo familiare e associazione seguito e controllato per uno scambio di informazioni e favori con la Polizia.
Per questo motivo un pomeriggio si è armato ed ha fatto irruzione sparando colpi di pistola nei locali dell’associazione. E Giuseppe, il figlio di Katia, da poco diciottenne ha fatto scudo con il suo corpo per salvare la sua famiglia.
Un proiettile lo ha colpito al cuore. Spegnendolo per sempre. E sua madre da allora e più di prima continua a lottare contro chi ha ucciso suo figlio. Con un coraggio esemplare. Una forza senza precedenti, così come quella di Vera Squadrito, mamma di Giordana Di Stefano, uccisa a coltellate, 40, dal suo ex compagno la notte prima dell’udienza in Tribunale per il processo di stolking di cui lui era stato appunto denunciato.
Da quel giorno l’urlo di Vera che reclama giustizia non si è placato. Un’altra mamma ha visto uccisa la figlia. Una storia questa da brividi e non si sa come e in che modo si possa sopravvivere. Le si chiamava Laura Russo ed a ucciderla è stata proprio colui che doveva proteggerla da tutto e tutti. Suo padre. Voleva vendicarsi della moglie uccidendo le figlie. Di notte, nel letto nel quale dormivano sicure che niente poteva succedergli.
La mamma lotta da allora. Si chiama Giovanna Zizzo. Anche lei combatte per una giustizia. Per la vita di sua figlia. Non dimentichiamoci di Abele. Questo è solo quello che chiedono queste madri, e padri, straziati da un dolore senza fine. E lo fanno con forza e umiltà. Con coraggio e tenacia. Provando a sopravvivere, a dare un’altra possibilità a questa vita. E sono donne eroine. Perché se la Giustizia italiana cambierà, cambierà le leggi, sarà per merito loro. Che non hanno mai mollato.